A maggio pubblichiamo una serie di articoli riferiti alla storia di rivoluzionar* e delle loro lotte. Le storie e le lotte di Bobby Sands e Ulrike Meinhof, Hakî Karer e Deniz Gezmi ancora oggi hanno un significato particolare per noi e prospettive rivoluzionarie per il futuro. Come internazionalist* portiamo avanti la loro eredità e la loro lotta, fino a quando il successo sarà nostro.
I. „Ricordare significa lottare“ – In occasione dell’anniversario della morte di Ulrike Meinhof
“La sensazione che ti esploda la testa (la sensazione che il cranio possa esserti esportato via, esplodendo).
La sensazione che la cella si muova. Ci si sveglia, si aprono gli occhi, la cella viaggia; al pomeriggio quando entra la luce del sole, la cella, di colpo, si immobilizza.
Furiosa aggressività che non trova sfogo. Questa è la prova peggiore. La chiara coscienza di non avere più alcuna possibilità di sopravvivenza. Totale senso di impotenza nel tentativo di opporsi a questa convinzione.
Il prigioniero, ci si aspetta, ora perde l’autocontrollo. Chiacchiera“.
Queste erano parole che scrisse Ulrike Meinhof. Erano le parole con le quali cercava di descrivere quello che provava nell’isolamento totale del reparto psichiatrico femminile del carcere di Colonia, Ossendorf.
Dalle parole di Ulrike emerge la brutalità del sistema contro i e le prigionier* politic* e allo stesso tempo la volontà di vivere, di resistere contro il tentativo di annientarli psicologicamente. In prigionia, isolat* e disarmat*, condussero questa resistenza con tutto ciò che avevano – la loro identità di esseri umani, la loro vita. „In isolamento“, così dichiarò la RAF sul terzo dei complessivi undici scioperi della fame, questo è „la nostra unica possibilità di resistenza collettiva da opporre alla controstrategia dell’imperialismo […] è la nostra unica possibilità di impiegare le nostre forze fisiche e mentali, la nostra identità di esseri umani perché la pietra che lo Stato della classe dominante ha raccolto contro di noi, cada sui suoi stessi piedi“.
E cadde sui loro piedi, perché nonostante tortura, violenza, tradimento e corruzione, non fu possibile spezzare la resistenza. Allo Stato restava come strumento solo l’annientamento fisico dei e delle prigionier*, dirgenti della RAF. Ulrike scrisse:
„Se la nostra identità è la nostra coscienza politica il cui contenuto è collettività (guerriglia, lotta armata), allora non possono estirparla con l’isolamento senza uccidere“.
La notte precedente il 9 maggio 1976 Ulrike Meinhof venne assassinata nel reparto di massima sicurezza del carcere di Stammheim-Stoccarda.
Ulrike, come i e le rivoluzionar* assassinat* della prima generazione della Rote Armee Fraktion erano e sono schierati per un progetto di liberazione che in tempi di guerre imperialiste contro movimenti di liberazione anti-colonialisti e prosecuzione del fascismo all’interno della Germania, creò una rottura con il sistema. Questa lotta conosceva un solo percorso: nella rivoluzione sociale. Solo l’annientamento avrebbe potuto spezzare questa resistenza.
„Possiamo essere oppressi solo se smettiamo di pensare e smettiamo di lottare. Persone che si rifiutano di mettere fine alla lotta non possono essere oppresse – o vincono o muoiono, invece di perdere e morire“.
E anche se così tant* sono stat* annientat* psicologicamente, assassinat* nelle carceri, sparat* alla schiena in strada, cadut* nella lotta, non hanno perso perché la loro lotta vive nella nostra memoria. RAF, Bewegung 2 Juni, Revolutionäre Zellen e Rote Zora sono, oltre a molte migliaia a livello mondiale, diventati anelli di una catena della storia della resistenza delle società contro l’oppressione e lo sfruttamento. Per noi sono parte dell’eredità che portiamo avanti.
Ricordare quest* rivoluzionar* e il progetto „guerriglia metropolitana“ per noi significa ricordare da che parte stavano: per un anti-imperialismo internazionalista che criticava nel modo più duro e combatteva il ruolo della Germania e della NATO. Per un antifascismo che non accettava la continuità del nazionalsocialismo in Germania. Per una rivoluzione sociale degli emarginati, esclusi e sfruttati. Una liberazione da un sistema che quotidianamente condiziona le persone, impone con la violenza e la guerra interessi imperialisti contro i popoli e non esita a portare avanti questa politica sotto forma di un aperto fascismo, nella reazione alla rivoluzione.
„Ricordare significa lottare“!
Solo nella lotta continua a vivere la nostra storia di insurrezione, di rivolta, di rivoluzione. Solo nella lotta possiamo tributare e ai nostr* cadut* l’onore che rende loro giustizia. Solo nella lotta possiamo imparare da loro, comprendere come pensavano, cosa desideravano e sognavano. È nostro dovere portare avanti la loro speranza, gli obiettivi per i quali lottavano e non da ultimo farli diventare realtà.
Oggi, 43 dopo l’assassinio a Stammheim, lo spirito di Ulrike Meinhof e di coloro che hanno tracciato una netta linea di separazione tra sé e il sistema continua a vivere nella lotta antifascista. Sono lo spirito della solidarietà internazionale e la convinzione delle proprie responsabilità dalle quali si sviluppa non da ultimo la consapevolezza della necessità della lotta a livello mondiale per la liberazione, dalla Germania al Kurdistan, dal Venezuela fino al Sudan.
In memoria delle e dei rivoluzionar* della guerriglia metropolitana, Ulrike Meinhof, Petra Schelm, Georg von Rauch, Thomas Weißbecker, Holger Meins, Ulrich Wessel, Siegfried Hausner, Werner Sauber, Katharina Hammerschmidt, Wilfried Böse, Brigitte Kuhlmann, Jan-Carl Raspe, Andreas Baader, Ingrid Schubert, Peter Willy Stoll, Michael Knoll, Elisabeth von Dyck, Sigurd Debus, Juliane Plambeck, Wolfgang Beer, Ina Siepmann, Gerd Albartus, Wolfgang Grams, e Johannes Timme diciamo:
Abbasso il fascismo, abbasso l’imperialismo.
La rivoluzione vincerà
Viva la solidarietà internazionale
09 maggio 2019